Il danno non patrimoniale ha natura unitaria ed onnicomprensiva. Il giudice di merito, ai fini risarcitori, deve tenere conto di tutte le conseguenze derivanti dall’evento di danno e procedere a un accertamento concreto del danno utilizzando tutti i necessari mezzi di prova, compresi il fatto notorio, le massime di esperienza, le presunzioni. 

Inoltre, costituisce duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione del danno biologico e del danno c.d. esistenziale, ma non, invece, la differente e autonoma valutazione compiuta con riferimento alla sofferenza interiore patita dal soggetto in conseguenza della lesione del suo diritto alla salute. Il danno morale andrà, tuttavia, allegato e provato, ancorché ovviamente per presunzioni. 

Sono i principi ribaditi dalla Corte di Cassazione, terza sezione civile, nell’ordinanza n. 7024/2020 che ha dichiarato inammissibile il ricorso di una paziente che aveva ottenuto oltre ottomila euro di risarcimento per il danno non patrimoniale, subito a causa della imperita esecuzione di intervento di estrazione dell’ottavo molare inferiore sinistro, rappresentato dalla perdita della sensibilità e del gusto nei 2/3 della parte anteriore sinistra della lingua.

Il danno non patrimoniale

Non passano il vaglio della Corte, tuttavia, i motivi di ricorso con cui la donna lamenta l’esclusione del risarcimento del danno non patrimoniale nell’accezione del danno morale ed esistenziale. Gli Ermellini approfittano della vicenda per ricapitolare una serie di principi ormai consolidati nella giurisprudenza di legittimità per quanto riguarda il risarcimento del danno non patrimoniale e alla persona.

In primis, viene ribadita la natura unitaria ed onnicomprensiva del danno non patrimoniale. Secondo l’insegnamento della Corte costituzionale e delle Sezioni Unite della Suprema Corte (Corte cost. n. 233 del 2003; Cass. Sez. U. 11/11/2008, nn. 26972-26975), sul piano delle categorie giuridiche (anche se non sotto quello fenomenologico), deve intendersi unitarietà rispetto a qualsiasi lesione di un interesse o valore costituzionalmente protetto e non suscettibile di valutazione economica.

 

Per quanto riguarda l’onnicomprensività, invece, tale ultimo aspetto sottende l’obbligo, per il giudice di merito, di tener conto, a fini risarcitori, di tutte le conseguenze derivanti dall’evento di danno, nessuna esclusa, con il concorrente limite di evitare duplicazioni attribuendo nomi diversi a pregiudizi identici.

Accertamento concreto e mezzi di prova

Il magistrato, in sostanza, dovrà procedere, a seguito di articolata, compiuta ed esaustiva istruttoria, a un accertamento concreto e non astratto del danno, all’uopo dando ingresso a tutti i necessari mezzi di prova, ivi compresi il fatto notorio, le massime di esperienza, le presunzioni.

Quanto all’accertamento e alla quantificazione del danno risarcibile pesa, non solo, l’insegnamento della Corte costituzionale (sentenza n. 235/2014), ma anche l’intervento del legislatore sugli artt. 138 e 139 del d.lgs. 7 settembre 2005, n. 209 (Codice delle assicurazioni private).

Gli Ermellini precisano che il giudice di merito dovrà congiuntamente, ma distintamente, valutare la reale fenomenologia della lesione non patrimoniale, dunque tanto l’aspetto interiore del danno sofferto (c.d. danno morale, sub specie del dolore, della vergogna, della disistima di sé, della paura, della disperazione), quanto quello dinamico relazionale (destinato a incidere in senso peggiorativo su tutte le relazioni di vita esterne del soggetto).

 

Nella valutazione del danno alla salute, il giudice dovrà, pertanto, tenere conto sia delle conseguenze subite dal danneggiato nella sua sfera morale (che si collocano nella dimensione del rapporto del soggetto con sé stesso) sia di quelle incidenti sul piano dinamico-relazionale della sua vita (che si dipanano nell’ambito della relazione del soggetto con la realtà esterna, con tutto ciò che, in altri termini, costituisce “altro da sé”).

Risarcimento e duplicazione risarcitoria

In presenza di un danno permanente alla salute, la misura standard del risarcimento prevista dalla legge o dal criterio equitativo uniforme adottato dagli organi giudiziari di merito (oggi secondo il sistema c.d. del punto variabile) potrà essere aumentata, nella sua componente dinamico-relazionale, solo in presenza di conseguenze dannose del tutto anomale, eccezionali ed affatto peculiari.

Invece, le conseguenze dannose da ritenersi normali e indefettibili secondo l’id quod plerumque accidit (ovvero quelle che qualunque persona con la medesima invalidità non potrebbe non subire) non giustificano alcuna personalizzazione in aumento del risarcimento.

Nel caso di lesione della salute, costituisce, pertanto, duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione del danno biologico e del danno c.d. esistenziale, poiché tali “categorie” o “voci” di danno appartengono alla stessa area protetta dalla norma costituzionale (l’art. 32 Cost.).

 

Non costituisce duplicazione risarcitoria, invece, la differente e autonoma valutazione compiuta con riferimento alla sofferenza interiore patita dal soggetto in conseguenza della lesione del suo diritto alla salute, come stabilito dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 235/2014, e come oggi normativamente confermato dalla nuova formulazione dell’art. 138 lett. e), cod. ass., introdotta, con valenza evidentemente interpretativa, dalla legge di stabilità del 2016.

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